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Cappella Portinari

Museo e Arte


Visitabile accedendo al Museo di Sant'Eustorgio, la Cappella Portinari deve il suo nome a Pigello Portinari (1421-1468), trasferitosi a Milano nel 1452 per assumere al direzione della filiale lombarda del Banco Mediceo. Intorno al 1462 avviò il progetto per la costruzione di una cappella intitolata a s. Pietro Martire, destinata a conservare la reliquia del capo del martire domenicano e a divenire luogo di sepoltura della famiglia.

La data di conclusione dei lavori è concordemente ritenuta il 1468, dal momento che, nell'ottobre di quell'anno, vi fu sepolto il committente. La struttura architettonica, a pianta centrale, derivata da modelli fiorentini, fu attribuita, per secoli ad architetti toscani. La critica più recente propende per un affidamento dell'incarico, sulla base di precise istanze della commitenza, finalizzate a sottolineare l'adesione al casato mediceo, ad una figura appartenente all'area lombarda.

Solamente a seguito della riscoperta degli affreschi (1868), avvenuta in concomitanza con i lavori di ripristino che coinvolsero l'intera basilica, e dei successivi interventi di restauro (1871-73), venne avanzato per la prima volta il nome di Vincenzo Foppa, suscitando un ampio dibattito tra gli studiosi che, nel corso del Novecento, ne hanno definitivamente accertato la paternità.

La cappella è contraddistinta da un sistema decorativo progettato unitariamente all'architettura.

Sul tamburo è modellata una danza angelica ad altorilievo in terracotta, composta da venti figure effigiate frontalmente, di tre quarti e di profilo. Il ciclo, allusivo alla raffigurazione del paradiso, manifesta rimandi alla plastica antica.

Negli spicchi della cupola sono dipinte scaglie policrome, colorate a fasce concentriche, secondo una scala cromatica simbolica, allusiva all'irradiarsi della luce divina. Nelle unghie, alternati alle otto finestre, sono rappresentati altrettanti busti di santi. Privi di attributi, sono stati identificati con gli Apostoli .

Nei pennacchi che raccordano il tiburio al vano quadrato della cappella sono inseriti quattro tondi con i Dottori della Chiesa (Gregorio Magno, Gerolamo, Ambrogio e Agostino). Al di sotto di essi, nei vertici inferiori dei pennacchi, sorretti da angeli dalle ali policrome, si trovano gli scudi a testa di cavallo che recavano lo stemma della famiglia Portinari. Sull'arcone di fronte all'ingresso è dipinta l' Annunciazione . Su quello in controfacciata è rappresentata l' Assunzione della Vergine .

Gli affreschi delle pareti laterali celebrano san Pietro da Verona in qualità di predicatore, esorcista, taumaturgo e martire. Nella parete sud, a sinistra della bifora, Il miracolo della nube . Nella stessa, a destra della finestra, il Miracolo della falsa Madonna . In questo episodio è stato individuato, nella figura posta alle spalle del santo, di profilo, il ritratto di Pigello Portinari, rappresentato anche nel Miracolo della nube. Nella parete nord, a sinistra della bifora, è dipinto il Miracolo del piede risanato . Accostato ad esso, alla destra della finestra, il Martirio di s. Pietro Martire .

Nella parete di fondo della scarsella si trova una tavola (sec. XV) che la critica ha variamente attribuito a Giovanni da Vaprio o a un maestro dell'ambito di Benedetto Bembo. L'opera ricorda l'episodio, leggendario, in cui il santo domenicano apparve al banchiere fiorentino, comandandogli di edificare la cappella.

Su iniziativa dei padri predicatori nel 1736 venne trasferita nell'abside della cappella l'arca contenente il corpo di s. Pietro Martire. Commissionata intorno al 1336, dai domenicani, grazie al contributo elargito da Azzone Visconti, e dallo zio vescovo, allo scultore Giovanni di Balduccio, formatosi nell'ambiente di Giovanni Pisano e Tino di Camaino. Il monumento venne ultimato in tre anni di lavoro. L'anno successivo vi fu traslato il corpo del santo. Nel corso dei restauri, avvenuti nell'ottavo decennio dell'Ottocento, venne spostato presso il centro della cappella, ove attualmente si vede.

L'arca è in marmo di Carrara, sorretta da otto pilastrini in marmo rosso di Verona; ad essi sono addossate otto statue, a due terzi del naturale, rappresentanti Virtù, ai cui piedi sono collocati animali simbolici. Sul sarcofago sono scolpiti otto rilievi con le storie di s. Pietro Martire. Le scene sono intervallate da otto statuine.

Al di sopra di esse, in corrispondenza della base del coperchio a tronco di piramide, si elevano otto sculture simboleggianti i cori angelici. Sugli spioventi dello stesso, sono scolpite varie figure. Al di sopra del coperchio, è posto un finimento, a forma di tabernacolo cuspidato, entro il quale sono scolpite le statue a tutto tondo di Maria assisa, s. Domenico e s. Pietro Martire ; sulla cimasa si trova il Salvatore con due serafini.

RESTAURI

Il primo restauro, documentato, delle superfici della cappella risale al 1583. Forse in occasione del trasferimento dell'arca di s. Pietro Martire nella cappella Portinari (1736), o in date immediatamente precedenti, avvenne la scialbatura che dovette interessare tutte le superfici e non solo gli affreschi del Foppa.

Nel 1868, in occasione dei lavori che coinvolsero l'intera basilica, si effettuarono alcuni saggi in situ e apparvero tracce del Miracolo della Nube . Nel 1871 i dipinti vennero discialbati da Agostino Caironi; le operazioni si svolsero in modo frettoloso e incauto, danneggiando la pellicola pittorica sottostante. L'anno successivo, le pitture furono restaurate e, in molti punti, integrate con estrema libertà interpretativa. Anche gli angeli in cotto e parte delle cornici architettoniche furono interamente ridipinte, secondo il gusto del tempo. Nel 1874-75 si pose mano al restauro architettonico della cappella; all'interno furono aperte le due porte ai lati della scarsella.

Nel 1930 la Soprintendenza ai Monumenti commissionò un nuovo intervento a Paolo Vanoli che eliminò parte della decorazione ottocentesca ed eseguì una lieve pulitura.

Nel 1950 ebbe inizio una consistente campagna di restauro, con la direzione dell'architetto Claudio Ballerio e dell'ispettore della Soprintendenza Franco Mazzini; i lavori furono eseguiti da Giuseppe Arrigoni sotto la guida di Mauro Pelliccioli. I restauratori si limitaronoi ad una pulitura superficiale, intervenendo con ridipinture nelle parti maggiormente compromesse. Tra il 1952 e il 1955 venne compiuto il restauro architettonico con eliminazione delle rimanenti decorazioni di Caironi; il pavimento venne rifatto. L'altare ottocentesco fu rimosso e sostituito da uno in marmo, opera dello scultore Fulvio Nardis.

L'ultima campagna di restauro si è svolta tra 1989 e il 1998. Per la prima volta, l'intervento ha cercato di rimuovere le cause che avevano determinato il progressivo degrado della cappella nel suo complesso. Si è resa necessaria una revisione delle coperture e del sistema dei displuvi della cappella per allontanare la maggiore sorgente di degrado, ovvero l'umidità meteorica, mentre per quella di risalita, non del tutto eliminabile, si è predisposta una stabilizzazione del clima all'interno della cappella per contenerla.

L'intervento sulla decorazione pittorica è stato affidato a Giovanni Rossi. I fenomeni di degrado di maggior estensione sono risultati essere la presenza di efflorazioni saline e l'imbiacamento delle superfici. Le limitate reintegrazioni sono state effettuate ad acquerello, con interventi a rigatino, revtersibili, per permettere una compatta visione d'insieme.

Il restauro conservativo sulle terracotte ha permesso, oltre alla pulitura, anche il recupero nelle cornici della stesura originaria a cocciopesto e la soprastante pittura a “finto granito”, mentre nel Tripudio angelico sono stati rilevati molteplici interventi di pitturazione, ma non è stato possibile identificare con certezza quelli originali.



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